Quell’idea di fare storytelling con l’arte presepiale
Intervista ad Enzo Nicolella e Marina Contento, dell’Associazione Presepistica Napoletana
Nell’epoca dell’advertising e del networking, dove tutto è d’impatto e tutto corre, è necessario essere dinamici, lineari e divulgativi. La foto diventa video (di dubbia qualità, ndr), l’opinione diventa racconto, la musica tormentone, e così via.
Sembri non ci sia più spazio (o tempo) per la staticità: quel momento di riflessione primigena nell’osservazione di qualcosa che non si muova o interagisca. Magari una bella immagine rurale, con gente semplice che lavora, una fontana con “l’acqua vera” (anche se alimentata da “enteroclisima”) ed un bambino biondo e paffutello che riposa in una mangiatoia.
Insomma, nell’epoca dell’advertising e del networking pare non ci sia più spazio per il presepe. “Pare” perché la realtà, per fortuna nostra e del bimbo biondo e paffutello, è ben diversa.
Fondata nel 2002 da 12 appassionati dell’arte presepiale, nel corso degli anni, l’Associazione Presepistica Napoletana si è sempre distinta per la qualità artistica e la ricerca storica, per offrire una visione del Settecento Napoletano - e non solo - utilizzando l’unicità del Presepe. Alle mostre annuali, ricadenti nel periodo natalizio, sono state concesse Medaglie del Presidente della Repubblica, Patrocini dei Ministeri dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Campania, dell’Assessorato Turismo e Cultura del Comune di Napoli.
Noi all’annuale mostra ci siamo stati, per dare ancora sfogo a queste passioni che ci attanagliano l’animo. Tra un Benino dormiente (o “Benito”, il dibattito non finirà MAI) ed un Ciccibacco felicione, tutto ad un tratto, ci siamo imbattuti in Renzo, Lucia e Don Rodrigo.
Ovviamente, ci siamo ingrippati. È possibile, quindi, utilizzare la specificità intrinseca del Presepe Napoletano del ‘700 in esposizioni che non sono più rappresentazioni di collezioni individuali, ma un vero e proprio “storytelling”?
Ne abbiamo discusso con l’arch. Enzo Nicolella, responsabile Eventi, Cultura e Direzione Artistica dell’Associazione Presepistica Napoletana e con Marina Contento, ceramista dell’Associazione.
Arch. Nicolella, da dove nasce l’idea di utilizzare l’arte presepiale per raccontare altro? Non era sufficiente dare un’immagine plastica della Natività e del relativo contesto?
In realtà, non si tratta di un’innovazione, ma è piuttosto la volontà di conservare una tradizione. Il presepe nostro, quello napoletano, che non nasce ma si sviluppa in ambito laico, diventò una sorta di giornale, in cui si rappresentavano le cose che erano accadute durante l’anno. Il presepe, quindi, si trasformò in un espediente per rappresentare storie, spesso diverse da quelle evangeliche, legate ad avvenimenti importanti avvenuti nel Regno, o anche a vicende strettamente familiari.
L’innovazione è, invece, fare storytelling, usando un termine anglosassone che oggi va molto di moda, attraverso quest’arte, utilizzando la stessa per rileggere avvenimenti diversi.
Qualcosa del genere era già stato realizzato in occasione del Trecentenario della nascita di Carlo di Borbone, con l’opera “Un Re, una Capitale, un Presepe”, esposta nel Salone delle Colonne della Real Casa dell’Annunziata Maggiore, che narrava la storia di quel periodo, con fatti e personaggi che hanno influenzato il presepe napoletano del ‘700.
Quest’anno, in mostra, abbiamo invece una sezione dedicata ai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni che sta avendo un grandissimo successo perché, al di là della lettura del testo, vederlo rappresentato in maniera tridimensionale, attraverso le scene che sono state riproposte e realizzate, è come avere un fermo immagine di quell’avvenimento specifico, in grado di trasferire ulteriori emozioni.
Marina, a proposito di “pastori vivi” e che raccontano storie, ci parli di quello dedicato a “Lenuccia” Maddalena Cerasuolo, che abbiamo presentato in occasione di un nostro evento al Borgo Materdei?
È il ricordo di una partigiana, di una giovane donna che scese in strada durante le famose Quattro Giornate di cui ricorrono gli 80 anni e che, con un atto eroico, contribuì a salvare il ponte della Sanità dalla distruzione nazista; ponte che, non a caso, oggi porta il suo nome. È un ricordo doloroso per me, perché ho conosciuto Lenuccia, ma soprattutto il figlio, Gennaro Morgese, a cui ero legata da una grandissima amicizia. Più volte Gennaro mia aveva chiesto di realizzare qualcosa sulle Quattro Giornate, ma avevo sempre rinviato per mancanza di tempo. “Ci sarà tempo”, gli dicevo: ma poi, quando Gennaro ci ha prematuramente lasciati, quel tempo d’un tratto non c’è stato più. Con grande rammarico, ho poi realizzato in poche settimane il pastore che rappresenta sua madre, la partigiana Lenuccia, con una mia interpretazione personale: ha infatti tra le mani una rosa bianca, simbolo di pace. Quel pastore è però dedicato solo ed esclusivamente a lui, al mio fraterno amico Gennaro.
Pastori vivi, presepi che raccontano.
Nell’epoca dell’advertising e del networking, anche la tradizione mette con orgoglio la sua bandierina e lo fa senza snaturarsi. Non è il presepe ad essersi “modernizzato”, bensì è lo storytelling che si è “presepizzato”.