Il Tesoro dei Tesori

“Tra Napoli ed il suo Santo c’è un contratto regolare e una firma che risale a 500 anni fa. E a Napoli tutto cambia e tutto resta tale e quale perché è una città speciale e San Gennaro lo sa…”

Questi versi di Eugenio Bennato raccontano del patto di Napoli con il Santo e di un popolo che vive questo rapporto in maniera viscerale, speciale.

Ne è tangibile testimonianza il suo Tesoro, che racconta 500 anni di partecipazione, fede e devozione, ed il cui valore farebbe impallidire la compianta Regina Elisabetta: altro che quello della sua Corona! Non le sarebbero bastati gli zeri su un assegno per comprare il Tesoro dei Tesori che, cosa unica al mondo, è di proprietà degli abitanti di Napoli.

Miracolo, fede e…laicità? Ovviamente, ci siamo ingrippati.

Se, nell’arte sacra, la parola Tesoro indica le reliquie che, in questo caso, sono le Ossa del Cranio di San Gennaro contenute nel busto angioino e le ampolle con il Sangue, conservate nella cassaforte dietro l’altare, a Napoli, invece, il Tesoro di San Gennaro accoglie anche un inestimabile patrimonio di oggetti di culto e di devozione in oro, argento, bronzo e pietre preziose. Il tutto è custodito nella Real Cappella, che si trova all’interno della Cattedrale, ma che è governata dalla Deputazione, un organismo laico, in rappresentanza della città

Miracolo, fede e laicità insieme? Siamo a Napoli, città che ha trasformato il culto per il suo Protettore in un rito collettivo che abbraccia tutti gli aspetti della vita e della storia.

Era il 13 gennaio del 1527 quando due rappresentanti per ciascuno dei sei Sedili in cui all’epoca era divisa la città, 5 nobili (Porto, Nido, Montagna, Capuano e Portanova) e uno del Popolo, si riunirono attorno all’altare maggiore del Duomo dove stilarono un Patto con San Gennaro con “pubblico istrumento rogato da notar Vincenzo de Bossis”. L’accordo era il seguente: Napoli avrebbe eretto al Santo una cappella stupenda in suo onore. In cambio, il Vescovo di Benevento avrebbe dovuto proteggere la città in saecula saeculorum. I presenti ritennero San Gennaro fisicamente presente grazie alla presenza delle sue reliquie. 

In quell’epoca, Napoli veniva da una lunga serie di flagelli: la guerra tra gli Angioini e gli Spagnoli, eruzioni del Vesuvio, terremoti, una tremenda pestilenza. Da sola non avrebbe potuto sopravvivere: era necessario chiedere un aiuto, un aiuto celeste. 

Ma il culto del Santo era già forte in città e, oltre al popolo, anche i regnanti mostravano una profonda venerazione verso il patrono.

Era stato re Carlo II d’Angiò a disporre la realizzazione del busto d’oro e argento che custodisce le ossa del cranio, e Roberto d’Angiò a volere la teca, pur’essa d’argento, per conservare le ampolline col sangue.

Nacque così, alla fine del 1200, il primo “nucleo” delle straordinarie opere del Tesoro di San Gennaro, arricchitosi nei secoli successivi di opere magnifiche e uniche: documenti antichi, ori e gioielli, oggetti preziosi e argenti, dipinti che re, papi, uomini famosi o persone comuni hanno donato per devozione al Santo.

Una collezione unica al mondo che, a parte un solo capolavoro di scuola provenzale, è tutta opera dei grandi artigiani napoletani e ne testimonia l’abilità, la maestria, la straordinaria capacità tramandata nei secoli.

Solo la Mitra del Santo potrebbe valere intorno ai 20 milioni di euro, considerando che ognuno degli smeraldi da 26 carati incastonati hanno un valore commerciale superiore al milione di euro, senza contare le altre quasi 4mila pietre preziose. Non esistono assicurazioni; nemmeno i Lloyd di Londra, che stipulano polizze per esporre contemporaneamente i pezzi più preziosi, li ritengono troppo costosi da rimborsare in caso di furto. 

Un patrimonio unico che, grazie all’opera della Deputazione della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, è giunta intatta a noi, non subendo alcuna spoliazione (per finanziare guerre) e nessun furto. 

Merito forse anche del Santo “in persona” che, persino nella finzione cinematografica – ricordate il mitico film “Operazione San Gennaro”, con Totò a Manfredi diretti da Dino Risi, dove un’improbabile banda di americani prova a mettere a segno il colpo del secolo con l’aiuto degli indigeni don Vincenzo "il fenomeno", Dudù,  il "Barone", il becchino "Agonia" e il "Capitano"? - trovò un modo rocambolesco per restituire i gioielli ai veri proprietari: il popolo di Napoli.

Perché il Tesoro dei Tesori è anche, e forse soprattutto, questo: le voci dei vicoli che ne sottolineano la forte appartenenza e aderenza con le radici della città.

Quelle stesse voci che stupirono Alexandre Dumas, padre indiscusso di ogni fiction popolare che si rispetti, l'anticipatore di ogni soap opera e serie tv dei nostri giorni, che aveva una grande passione per l'Italia. E per Napoli in particolare. 

Il creatore di personaggi indimenticabili come D'Artagnan, il conte di Montecristo o l'abate Faria, era anche uno scrittore antropologo, affamato di vita e osservazioni sul campo. Farà più di un viaggio nel nostro paese, innamorandosi di Napoli. Molte storie napoletane, ricche di leggende e aneddoti che piacquero a Benedetto Croce, si leggono nei quattro volumi de Il corricolo (1841-43), che prendeva nome dal calessino napoletano tirato dai cavalli che si usava nella città partenopea. 

Tra le pagine più interessanti, ci sono quelle dedicate a san Gennaro. Quando va a visitare il monastero di Santa Chiara a Napoli, Dumas si ritrova schiacciato da una folla di devoti pigiati gli uni sugli altri. Sono lì per assistere al miracolo della liquefazione del sangue, ma il miracolo tarda e la massa dei fedeli si inferocisce e inizia a insultare San Gennaro. Le più agitate sono le “parenti” di San Gennaro: donne, per lo più anziane, che nell’immaginario  popolare discendono da Eusebia, la nutrice del Santo che ne avrebbe raccolto il Sangue dopo la decapitazione.

A Dumas appaiono come megere indemoniate, dalle cui bocche escono insulti irripetibili: hanno un “rapporto confidenziale” con il Santo, al punto da chiamarlo “faccia ‘ngialluta”.

Ma poi "Gloria a san Gennaro! Il miracolo è fatto!". A quel punto la situazione si ribalta, chi insultava ringrazia, chi sbraitava piange dalla commozione: "Tutto quel popolaccio, folle di gioia, si rotolava per terra, si rialzava, si abbracciava, gridava: 'Miracolo! Miracolo!' e, agitando i fazzoletti intrisi di lacrime, domandava perdono a san Gennaro degli eccessi cui si era spinto nei suoi riguardi". 

Il miracolo è anche questo.

Miracolo, fede, laicità…e tanto altro, che nelle mani di Dumas diventano più stimolanti di una fiction creata ad arte, che potremmo intitolare IL TESORO DEI TESORI.

Vi siete ingrippati pure voi?



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Geolier, Di Giacomo e gli Avengers della “sacra tradizione”

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Quell’idea di fare storytelling con l’arte presepiale