La Legge Basaglia: storia di un ingrippo! 

A 100 anni dalla nascita del celebre psichiatra, un esperto ci pone un’importante riflessione

Un secolo fa nasceva lo psichiatra che ha riformato radicalmente la salute mentale italiana e ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo al malato e alla malattia mentale. “Un altro mondo era possibile”, questo secondo lo psichiatra Mario Novello è quello che Franco Basaglia ha voluto dimostrare.

Insomma, Basaglia era uno di noi: un “ingrippato” vero.

Ma questa sua lezione è ancora attuale o è stata dimenticata? 

Ce ne parla il  Dr. Bruno Romano, da decenni in prima linea al fianco degli “utenti” della Salute Mentale.

Il 13 maggio del 1978, quarantasei anni fa, infatti, entrò in vigore la Legge 180, comunemente detta Legge Basaglia, ricordata come la legge che ha “chiuso i manicomi”. L’approvazione della Legge 180 è stato il punto di arrivo di un lungo cammino iniziato da Franco Basaglia nel 1961, nell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Negli anni Sessanta era ancora in vigore la legge del 1904 applicando la quale venivano internate le persone “affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose”. In quegli anni l’internamento negli ospedali psichiatrici era una punizione piuttosto che una cura, le persone erano recluse anziché ricoverate, il disagio psichico era una colpa da nascondere più che un normale malattia.

Sino al 1978 il sofferente psichico non era un cittadino, era privato di qualsiasi diritto, per lui la Costituzione non era validata, gli internati non avevano voce rispetto alle cure e non potevano decidere nulla della loro vita. La legge 180 restituisce libertà, diritti e dignità ai malati di mente, li riconosce come cittadini e come tali gli riconosce il diritto alla casa, il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto ad avere una famiglia e degli affetti. La riforma della psichiatria inizia negli ospedali psichiatrici ma dispiega i suoi effetti nella società, generando innovazione anche sul fronte imprenditoriale, dalla chiusura dei manicomi sono infatti nate le prime cooperative sociali ante litteram, imprese che non perseguono la massimizzazione del profitto ma l’interesse generale della comunità.

La cooperazione sociale, così come l’associazionismo primo diritto di cittadinanza, nascono grazie al lavoro di gruppi spontanei di cittadini, e possono essere considerate la formalizzazione di un impegno civile che ha saputo strutturarsi e, attraverso la forma cooperativa, ha sottratto la solidarietà al caso e all’approssimazione. In questo percorso, le cooperative sociali e l’associazionismo sono state lo strumento per ricomporre aspetti apparentemente inconciliabili, l’impresa e la solidarietà, dando vita ad organizzazioni legate alle comunità in cui cooperavano lavoratori, volontari ed utenti per svolgere insieme attività d’impresa non per il profitto ma per perseguire il benessere generale.

 

È utile ricordare che il movimento che ha portato all’approvazione della legge 180 e ha sostenuto il processo di riforma della psichiatria ha avuto una forte dimensione politica che si è sintetizza nella battaglia combattuta da migliaia di uomini e donne per dare diritti a chi diritti non ne aveva. Una battaglia che ha coinvolto intere comunità, non solo medici ma anche giovani, che entravano come volontari negli ospedali, artisti, che realizzavano istallazioni e organizzavano laboratori nei padiglioni manicomiali, giornalisti e scrittori, che narravano i processi di deistituzionalizzazione, sindacati e partiti politici, che accompagnavano le fasi più cruciali della riforma, nuovi imprenditori che creavano imprese sociali per rendere esigibili diritti.

A quarantasei anni dall’approvazione della legge 180 è necessario recuperare la dimensione politica, la forza di trasformazione e cambiamento della società che hanno caratterizzato quegli anni, è ora necessario costruire nuove alleanze per garantire nuovi e vecchi diritti. È necessario impegnarsi per l’accoglienza dei migranti, per il contrasto delle diseguaglianze e delle povertà.

Potremmo dire che il terzo settore insieme all’associazionismo rappresenta un esempio di razionalità collettiva – o ragionevolezza- collocando i problemi di efficacia e di efficienza nell'ambito di un contesto più ampio, mirando ad una più equa distribuzione della ricchezza e dei diritti sociali. Per questo, questi “attori sociali” svolgono un ruolo essenzialmente politico, in quanto contribuiscono attivamente alla crescita della democrazia sociale contribuendo in maniera determinante alla “deistituzionalizzazione” del disagio.

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