Geolier, Di Giacomo e gli Avengers della “sacra tradizione”
È stato reso noto il testo che il giovane rapper presenterà a Sanremo: scoppia la diatriba, ma non ce ne meravigliamo.
Non c’è Sanremo senza “Sorrisi e Canzoni”, ma ci sarebbe “Sorrisi e Canzoni” senza Sanremo?
Onestamente, in questa sede, non ci interessa rispondere all’interrogativa marzulliana che serve da incipit al nostro articolo. Sta di fatto che nell’era digitale, dello streaming e della scissione tra musica e letteratura, la rivista di cui sopra sente ancora la necessità di dover anticipare i testi della nazionale kermesse ai propri lettori. Testi che nel 2023 d.c., non essendo più di matrice poetico/letteraria, lasciano lo spettatore nello stesso sconforto di uno studente del classico che per la prima volta approccia ad una versione di Aristotele filosofo.
(Questa cosa del greco ricordatevela perché tornerà utile nel pezzo)
Spicca e “fa rumore” (per citare Diodato, anch’esso partecipante), tra i Petrarca e i Dante Alighieri di questa edizione, il celebre rapper napoletano, di origini secondiglianesi, Geolier. A nessuno importa che tutti i testi non hanno uno straccio di punteggiatura; A chi interessa che i versi degli altri testi sono slegati, senza un filo logico (ovviamente, evidenziamo, perché dovranno essere cantati). Il testo di Geolier, invece, interessa.
Assai, poiché il rapper, al secolo Emanuele Palumbo, ha avuto l’ardire di presentare un testo in napoletano.
“Ecco qua, l’articolo sul razzismo della TV nazionale che vuole tagliare le corde del mandolino che tutti portiamo sulle spalle come Gesù Cristo sul Golgota”. No, siete malpensanti.
L’ardire che ha mosso l’animo del giovane talento partenopeo non ha assolutamente toccato ne il Consiglio d’Amministrazione della Rai, ne il buon Amadeus e nemmeno il sindaco della petalosa cittadina. La sua “tracotanza” (Ύβρις, direbbero i greci) è stata recepita come vilipendio dai suoi stessi concittadini.
“I p’ me, tu p’te”, questo il titolo del brano, effettivamente, è scritta come (speriamo) dovrà essere cantata. Di conseguenza, viene da sé, da fratelli maggiori del giovane talento, pensare: “Emanuè, potevi quanto meno mettere le desinenze”. Ogni giudizio reale, ovviamente, sarà rimandato all’ascolto.
Fortuna nostra, invece, abbiamo scoperto che non abbiamo nulla da invidiare alla Manhattan della grande mela. Ebbene si, anche noi abbiamo gli Avengers.
Questi, immediatamente, hanno sentito la necessità di scendere in campo ed indossare la maschera del Pulcinella/Supereroe che sente l’impellente necessità di difendere la “tradizzione” (le due z non sono un errore) da queste forze oscure che stanno cercando di manometterla. Hanno tirato fuori le armi dell’UNESCO (che campa su di noi, evidentemente), del patrimonio culturale e della lingua.
Quale lingua?
Ecco, qui ci siamo ingrippati.
Perché, innanzitutto, questa diatriba non ha ragione d’esistere: prima si chiamava “licenza poetica”, per giustificare la modifica di una parola fatta, magari, per agganciare una rima; oggi, invece, per comodità, pigrizia o fatti del cantante, la maggior parte dei testi vengono scritti per come devono essere cantati. Invitiamo voi, appassionati ed ingrippati lettori, a leggere con attenzione i testi della musica rap, soprattutto quelli napoletani, e trovarci senso senza musicalità.
E poi la “lingua”.
Solitamente, quando si usa questa locuzione per parlare del napoletano, si fa riferimento ad un periodo letterario specifico: quello a cavallo tra la fine dell’800 e l’inizio del 900, momento estremamente prolifico per la nostra cultura e la sedimentazione del patrimonio partenopeo nel mondo. Benissimo: già questo di cui parliamo è un napoletano evoluto rispetto a capolavori come “il canto delle lavandaie” o “Fenesta vascia”.
Andiamo avanti.
Salvatore Di Giacomo scrive “Assunta Spina” nel 1888, Eduardo Scarpetta scrive “Miseria e nobiltà” nel 1887: i due testi, bellissimi per punti di vista differenti, sono scritti anche in due lingue diverse. Non fatevi fregare dalle parole troncate e dagli apostrofi messi erroneamente prima delle consonanti e delle congiunzioni. I termini, le coniugazioni verbali e la stessa inflessione dialettale, sono diversi. Non citiamo l’ulteriore evoluzione avvenuta con Eduardo, fino ad arrivare a Pino Daniele e la sua “sbagliatissima” “JE so pazz”, solo per non tediarvi.
Il rapper poteva farsi aiutare, innanzitutto per celebrare in grande stile questo primo enorme traguardo raggiunto nella sua giovanissima carriera. Non lo ha fatto, ma potevano farlo i nostrani Avengers, invece di fargli la guerra a mezzo post sui social e, addirittura, comunicati stampa. Anche perché, giusto per dare qualche notizia, il talento di Secondigliano riempie gli stadi, riceve dischi di platino nell’era dello streaming e passa messaggi importantissimi per le nuove generazioni.
Loro non lo sanno, ma gli Avengers, quelli veri, salvano il mondo dalle minacce intergalattiche, aiutando gli abitanti della terra contro un nemico comune, un “villain”.
Nel 2023 d.c., i “villain” dei napoletani rimangono i napoletani stessi e, finchè sarà così, questa guerra non potremo mai vincerla.
Forza Napoli.
Forza Geolier.
P.S. La lingua napoletana deriva direttamente dal greco (vi avevamo detto di ricordarvelo!) e, proprio come quest’ultima, vive di dizione ed intonazione, le quali cambiano significati e significanti.