Il Mistero dell’arte contemporanea
“Questo sarei stato capace di farlo anch’io”: siamo certi che vi sarà capitato di pensarlo almeno una volta davanti ad un’opera non realizzata secondo i canoni consueti.
E di rimanere interdetti di fronte a opere il cui significato sembra impenetrabile, se non assurdo, in un Museo di Arte Contemporanea?
Ed attenzione a non confondere l’Arte Contemporanea, che comprende lavori recenti, frutto di movimenti artistici non ancora storicizzati o non ancora conclusi come invece già accaduto per l’Arte Moderna: qualcuno potrebbe risentirsene!
Tele bianche o colorate, sovrapposizioni fotografiche, istallazioni bizzarre, ready made decontestualizzati e freddamente anonimi, ma soprattutto una ricorrente sensazione di vuoto.
Siamo noi incapaci di comprendere un’arte divenuta troppo “elevata” oppure è l’arte stessa ad aver perso la capacità di comunicare un’emozione o un messaggio?
Embè, stu fatt me ‘ngripp a me!
Forse è solo l’essere contemporanei ad essa. In effetti, quanti movimenti artistici del passato sono stati connotati con termini dispregiativi, per essere celebrati solo in un secondo momento?
All’uomo della strada resta però un dubbio: com’è possibile che rifiuti, scarabocchi, semplici gesti e oggetti comuni siano diventati opere d'arte?
Perchè sono il nuovo modo di esprimere idee!
L’arte è espressione della cultura di un’epoca e traduce lo spirito del tempo ed il sentimento dei popoli. Essa si è manifestata per secoli attraverso modalità figurative certe: eruditi, filosofi e scrittori l’hanno codificata e ne hanno svelato principi e regole. Eppure prospettiva, disegno del vero, abbinamenti cromatici, tutto il cosiddetto “sapere artistico” non sembra essere più necessario rispetto alle nuove modalità espressive che si muovono su altri livelli.
È lo scardinamento della tradizione.
In verità, già il realismo senza fronzoli di Caravaggio fece scandalo nel ‘600 con quei suoi santi dalle facce "contadine", piedi sudici e canestre di frutta bacata. Poi seguirono gli impressionisti, infine la fotografia, che si sostituì alla capacità della pittura di riprodurre la realtà, sino a giungere alla “destrutturazione” esplosa in questi ultimi decenni.
E così l’armonia di Raffaello ha ceduto il posto a provocazioni, show, disarmonie…che sono poi lo specchio della nostra epoca.
Le arti visive non rappresentano più solo immagini, ma concetti. Una vera rivoluzione. “Oggi non basta più saper dipingere realisticamente una mela, ma occorre saper rendere quel che di invisibile ha dentro” afferma Francesco Bonami, critico d’arte.
Se giornali, riviste di settore, cinema e social hanno reso l’arte popolare, la stessa però è diventata sempre meno comprensibile al grande pubblico. Ed ecco il ruolo del critico d’arte, un esperto in grado di spiegare ai “fruitori” ciò che l’artista vuole comunicare.
In realtà, è mutato nel tempo il ruolo dell’artista, che non solo si firma, ma è sempre più un personaggio e promotore della sua arte: Salvator Dalì docet.
Sono cambiati i contenuti, che vengono semplificati per poter parlare a tutti: gli artisti continuano a trasmettere messaggi e ad esprimere l’essenza del loro tempo, ma si sono distaccati progressivamente dalla complessità e dalla profondità di pensiero.
O almeno è questo che ci sembra di percepire, influenzati come siamo dal paradigma attuale, del tutto proteso alla velocità, con un progressivo declino del sapere umanistico sostituito sempre più da quello tecnico.
E così siamo sempre meno inclini all’introspezione ed alla contemplazione del bello e, di contro, più sensibili all’ “inquinamento” dei media ed alla loro esigenza di spettacolarizzazione, di moda, di business.
Ma questo svuotamento di contenuti è reale, sostanziale?
Se l’arte oggi è idea, provocazione, sono le reazioni del “fruitore-spettatore”, in ultima analisi, l'essenza dell'opera stessa.
Questo però non significa che gli artisti contemporanei siano solo dei geni del marketing e che questa nuova arte sia una bufala! Non basta fare scalpore per convincere critici, mercanti, acquirenti e “spettatori” che quella sia vera arte. Tutti possono fare arte perchè tutti hanno qualcosa da dire, ma è fondamentale dirlo e saperlo dire.
Ad esempio, la realizzazione delle tele completamente bianche del pittore americano Robert Ryman (1930) sembrano alla portata di tutti, ma non è alla portata di tutti il pensiero che le sorregge e cioè superare l'idea di un messaggio necessariamente dipinto e "creare" l'interrogativo in chi guarda. E Ryman è il primo a osare l’inosabile nel 1955.
Non solo, in quelle tele c’è un messaggio preciso. Il pittore aveva intuito che oggi non spaventano tanto le guerre (messe in scena da Paolo Uccello nel XV secolo) quanto il vuoto e la noia. Se l’arte è espressione della società, questa è la società che abbiamo: vuota. E che cosa poteva meglio rappresentare la noia di una tela bianca? Ryman fa quindi arte: senza dare sfoggio di grandi capacità tecniche ma lanciando messaggi che ci fanno pensare. E poi, attenzione: comprendere, interpretare, sintetizzare e trasmettere in una rappresentazione della realtà attraverso una azione, oggetto (o non azione) è segno di talento analitico. Senza considerare che gli artisti che riducono al minimo il gesto artistico non necessariamente sono privi di talento tecnico.
Nel 1998 l’americano Joseph Kosuth (1945) presentava insegne luminose con scritte apparentemente senza senso, tipo “What does it mean?” (“Che cosa significa?”). Ovvero: molte cose che facciamo oggi (lo shopping compulsivo, il traffico…) non hanno senso.
In Mozzarella in carrozza (1968) Gino De Dominicis (1947-1998) ha esposto, letteralmente, una mozzarella in una carrozza nera di fine Ottocento. Arte o una provocazione gratuita? Nella risposta a questo sta il tema: elevando un latticino a oggetto d’arte, il messaggio è che la nostra società si crea miti di carta, glorifica soubrette, paparazzi, finti opinionisti. Quindi, perché stupirsi se un artista mette una mozzarella in vetrina e non in un autentico capolavoro?
Quando Saverio e Salvatore chiedono se l’arte contemporanea è arte o “na strunzat”, il professor Bellavista risponde con le parole del filosofo Protagora: l’uomo è il centro dell’universo ed è all’uomo che spetta dare un giudizio. Su ogni argomento, qualunque esso sia, non esiste una verità assoluta ma sussiste un’opinione soggettiva che inevitabilmente, per l’animo animale dell’uomo, genera una opinione contraria, per cui può essere arte come non esserlo.
E, stu fatt me ‘ngripp a me!
Quando però Salvatore gli chiede come penserà un muratore del 3000 di fronte al ritrovamento di un’ opera di Tom Wesselmann che rappresenta un bagno, Bellavista non ha dubbi: non un capolavoro, ma “nu cess scassat”.