D’o mare, d’e rose…e di quelle volte che ti ritrovi a guardarti dentro
Il Santa Teresa Fest, il concerto di Paese mio Bello e gli scherzi di un cuore dietro l’obiettivo.
Al riparo dai rumori della Via Nova che corre lì sotto, in cima a due rampe di scale e protetti dalle spesse mura seicentesche, è più facile sentirsi “in connessione”. Chissà quanti stati d’animo, quante speranze, quanti desideri, in più di quattro secoli, avranno cercato una prospettiva sotto le volte di questa chiesa. E quante paure avranno trovato conforto, sotto gli occhi della Vergine del Passignano e del suo San Giuseppe.
Sono tanto preso da questi pensieri, stasera, qui nella Chesa di Santa Teresa degli Scalzi, che manco mi accorgo che siamo in duecento e più.
Noto però -e con un sottile sollievo- che Il brusio dei saluti, quell’aria un po’ mondana che si respira prima di un concerto, si è presto trasformata in silenzio, in un comune stato di godimento. Tutti connessi, appunto, e tutti a respirare quest’aria che si è fatta leggera, sulle note della musica di “Paese mio Bello”.
E in mezzo a tutti gli altri, io. In questa luce soffusa, quasi confuso da una bellezza che avvolge, mi trovo ad interrogarmi, a guardarmi dentro come se qualcuno avesse voltato verso di me la videocamera con cui sono venuto qui, pensando fosse un lavoro come tanti altri.
“Dimme parole che fanno sanà ‘o core…”, canta Patrizia Spinosi sulle note di Gianni Lamagna – ed è come se quella splendida voce stesse parlando proprio a me.
Proiettato da queste parole in una dimensione del tutto inaspettata, mi ritrovo a pensare a quanto struggimento, quanta energia, generi l’amore (anzi, l’ammore) per un’altra persona. Quanta passione, quanto desiderio! Cose che fuori di qui, incolonnati nel traffico e tesi a rincorrere chissà quale risultato, diamo troppo, e troppo spesso, per scontato.
E invece è proprio su note come quelle che vanno spegnendosi ora, con una delicatezza che commuove, che dovremmo accordarci…
“…e je penso sulo si è ‘nu suonno o è verità” – così l’autore ha scelto di chiudere questa poesia in musica che si chiama d’o mare e dd’e rose, e così Patrizia, quasi sottovoce, mi ha invitato a rimettere l’occhio nel visore, i piedi per terra, e tornare al mio lavoro di reporter.
Io non lo so se quei quattro minuti, in mezzo ad un concerto raffinatissimo, sono stati del tutto reali, o è stato uno scherzo del mio cuore. Quello che so e che da oggi avrò n’atu n’gripp: tornare spesso qui, a Santa Teresa, un altro luogo dell’anima, a cercare l’eco di quelle note. A ritrovare pezzetti di me.